mercoledì 26 settembre 2007

"Circle in the round"



Circle in the round
Hendrix e Davis all’isola di Wight

Lui mi influenzò e io influenzai lui e questo è quello di cui è fatta sempre la grande musica. Tutti che mostrano a tutti gli altri qualcosa e poi da lì si parte e si va avanti.


Nell’autobiografia Miles Davis ricorda la propria fascinazione per la musica di Hendrix. In un modo piuttosto vago allude anche a delle sessions casalinghe, durate qualche mese, che lo videro suonare insieme al chitarrista.
Per la precisione Davis sostiene d’aver suggerito al guitar-hero che, con suo massimo stupore, non sapeva leggere gli spartiti musicali, alcune melodie che poi Hendrix avrebbe utilizzato soprattutto per il suo ultimo progetto musicale con la Band of Gypsys.
Da almeno trent’anni si favoleggia, tra i collezionisti e gli appassionati, dell’imminente pubblicazione (sempre rimandata) di alcuni fantomatici nastri che documenterebbero quegli straordinari incontri.
Gianfranco Salvatore, autore di un imprescindibile studio sulla cosiddetta svolta elettrica di Davis , esclude in modo pressoché categorico, l’esistenza di materiale registrato di quel genere e anzi ricostruisce con dovizia la cronologia di quelli che definisce: incontri mancati tra i due sommi musicisti.
Il più clamoroso si sarebbe potuto concretizzare in un disco vero e proprio di Barocco-blues-flamenco (come lo definiva lo stesso Hendrix in un’intervista ) arrangiato da Gil Evans, prodotto dal mitico Alan Douglas, che prevedeva le stellari performances musicali dello stesso Evans al pianoforte, Davis naturalmente alla tromba, Hendrix altrettanto naturalmente alla chitarra e del enfant prodige Tony Williams alla batteria. Troppo bello per essere vero, e infatti non se ne fece niente, nemmeno una nota fu mai registrata dal fantasmagorico supergruppo.
La prematura morte di Hendrix stroncò il progetto sul nascere. Una celebre foto ritrae un addolorato Davis insieme a Jakie Battle e alla vedova nera Devon Wilson, al funerale di Hendrix. E’ un’immagine emblematica che in qualche modo segna la fine di un’epoca musicalmente meravigliosa che concludendosi, in molti casi tragicamente (Brian Jones, Jim Morrison, Janis Joplin, ecc.) in altri in modo più mediatico (il 10 aprile 1970 con un celebre comunicato stampa, Paul McCartney annunciò la fine dei Beatles), avrebbe dato vita ad un’altra altrettanto splendida.
Si spegnevano le luci e i colori della psichedelia e si spalancavano le porte della percezione del Jazz rock, della musica progressiva (Progressive rock), della fusion, dell’elettronica e della world music. Se si prendono in esame, a questo proposito, gli album pop, rock e jazz pubblicati tra il 1969 e il 1970 c’è da rimanere sbalorditi davanti alla quantità di capolavori assoluti che ci si trova davanti. Tanto per buttar là qualche titolo non ancora troppo abusato e logoro:

Charlie Haden, Liberation Music Orchestra (1969)
Quicksilver Messenger Service, Happy Trails (1969)
King Crimson, In the Court of the Crimson King (1969)
Frank Zappa, Hot Rats (1969)
The Who, Tommy (1969)
The Soft Machine, Third (1970)

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